Nel mondo del coaching, spesso si fa riferimento a concetti e metafore che aiutano le persone a comprendere meglio il proprio stato emotivo e fisico. Una di queste è il “Triangle of Sadness”, un termine utilizzato nel contesto della bellezza e della cura del viso, ma che può essere profondamente significativo quando si parla di benessere emotivo e psicologico.
Il “Triangle of Sadness” si riferisce a quella piccola area tra le sopracciglia e la fronte che spesso mostra segni di tensione e stress. Questi segni fisici sono una manifestazione esteriore di uno stato interiore, e in modo simile, la nostra mente può accumulare tensioni e difficoltà che, se non affrontate, si manifestano nel nostro comportamento, nel modo in cui affrontiamo la vita, e persino nelle nostre relazioni.
Il significato del “Triangle of Sadness” nel coaching
Nel coaching, il “Triangle of Sadness” può essere visto come una metafora delle aree non risolte della nostra vita che causano stress e ansia. Queste “zone di tensione” possono essere relazioni difficili, aspettative irrealistiche su di sé, o cicli di pensieri negativi che non riusciamo a spezzare. Proprio come una persona può alleviare la tensione sul viso con tecniche di rilassamento, così possiamo alleggerire la mente e le emozioni con un processo di coaching efficace.
Identificare le tensioni invisibili
Uno degli obiettivi principali di un percorso di coaching è proprio quello di aiutare le persone a individuare quelle aree della loro vita dove si accumulano tensioni emotive e psicologiche, ma che spesso non sono immediatamente evidenti. Questo può includere ansie nascoste legate a insicurezze personali, ambizioni non realizzate, o relazioni che portano più stress che gioia. Attraverso il coaching, si lavora per portare alla luce queste dinamiche e trovare il modo per scioglierle.
Ad esempio, una persona può sentirsi costantemente sotto pressione per soddisfare le aspettative degli altri, o può essere intrappolata in una relazione tossica che la fa sentire intrappolata. Questi scenari creano un “Triangle of Sadness” emotivo, dove il peso del non sentirsi abbastanza o del non avere il controllo della propria vita si manifesta in una sensazione di tristezza e frustrazione.
Tecniche di coaching per sciogliere le tensioni
Proprio come si possono rilassare i muscoli del viso con massaggi o tecniche di rilassamento, il coaching offre strumenti pratici per affrontare lo stress emotivo. Ecco alcune tecniche utili:
- Consapevolezza di sé: Imparare a riconoscere le proprie emozioni e capire da dove provengono. Spesso siamo così occupati a gestire la quotidianità che non ci fermiamo mai a riflettere su ciò che ci causa veramente stress. Il coaching ti guida attraverso esercizi di riflessione per individuare queste fonti di disagio.
- Gestione dello stress: Ogni persona ha la propria risposta allo stress. Attraverso il coaching, puoi imparare tecniche personalizzate di gestione dello stress, come la respirazione profonda, la meditazione o lo sviluppo di routine che favoriscono il benessere.
- Ristrutturazione cognitiva: Molte delle nostre tensioni derivano da pensieri negativi o convinzioni limitanti. Il coaching ti aiuta a ristrutturare questi pensieri, sostituendo quelli dannosi con alternative più positive e potenzianti.
- Obiettivi realistici: Spesso siamo causa del nostro stesso stress perché ci imponiamo obiettivi irrealistici. Un coach lavora con te per stabilire obiettivi che sono sfidanti ma raggiungibili, riducendo la pressione e migliorando la motivazione.
- Bilanciare mente e corpo: Il coaching non si limita a lavorare sulla mente, ma riconosce l’importanza di un equilibrio tra corpo e mente. Spesso, le tensioni fisiche e mentali sono strettamente correlate, quindi adottare una prospettiva olistica è fondamentale per ridurre il carico emotivo.
Il processo di liberazione
Il percorso di coaching è un viaggio verso l’autenticità e la liberazione. Proprio come il “Triangle of Sadness” sul viso può essere sciolto con pazienza e cura, anche le tensioni interne possono essere rilasciate attraverso un percorso di consapevolezza e crescita personale. Ma ciò richiede impegno e determinazione.
Ogni passo che fai per riconoscere e affrontare le tue tensioni è un passo verso un maggiore equilibrio e serenità. Attraverso il coaching, scoprirai che non sei solo capace di gestire lo stress, ma anche di fiorire, anche di fronte alle difficoltà.
Se senti che è giunto il momento di liberarti da queste tensioni e di affrontare le sfide con una prospettiva più chiara e potenziata, contattami per un incontro conoscitivo. Il coaching può essere la chiave per sciogliere quelle zone di stress emotivo e fisico che ti stanno trattenendo, aiutandoti a vivere una vita più equilibrata e felice.
-
Affrontare e Superare una Relazione con un Partner Evitante: 5 Esercizi di Self-Care
Le relazioni amorose sono come intricati balli, in cui ogni partner porta con sé un certo ritmo, una serie di movimenti appresi nel tempo. Ma cosa succede quando uno dei partner sembra fuggire ogni volta che cerchi di avvicinarti? C’è una verità che molti di noi imparano nel corso della vita: non tutte le relazioniContinua…
-
Rudolf Steiner: i 6 esercizi
PRIMO ESERCIZIO: CONTROLLO DEL PENSARE O GIUSTO PENSIERO La prima condizione consiste nel conquistare un pensiero perfettamente chiaro. A questo scopo bisogna liberarsi – almeno per un breve momento della giornata, anche per cinque minuti (ma più il tempo è lungo, meglio è) – dei pensieri che si muovono come fuochi fatui. Bisogna diventare padroni del mondo dei propri pensieri. Non se n’è padroni fin quando uncondizionamento esteriore (la professione, una tradizione qualsiasi, le condizioni sociali, il fatto stesso di appartenere a un certo popolo, il momento della giornata, certi gesti che noi compiamo) ci detta un determinato pensiero e il modo stesso di svolgerlo. Durante quel breve momento di cui si è detto, con una volontà del tutto libera, dobbiamo svuotare la nostra anima del corso abituale e quotidiano dei pensieri e – di nostra propria iniziativa – porre un pensiero al centro della nostra anima. Non è necessario credere che debba essere un pensiero eccezionale o di particolare interesse. Il risultato interiore che ci si propone di raggiungere si ottiene meglio se, all’inizio, ci si sforza di scegliere un pensiero anche non interessante e il più insignificante possibile. La forza dell’attività propria del pensare – che è ciò che importa – viene da ciò maggiormente stimolata, mentre un pensiero che è interessante trascina da sé il pensare. E’ preferibile eseguire questo esercizio di controllo dei pensieri concentrandosi su uno spillo piuttosto che su Napoleone. Ci si dice: “Parto ora da questo pensiero e di mia personale iniziativa gli associo tutto ci. che gli si può ricollegare obiettivamente”. Alla fine dell’esercizio quel pensiero deve permanere nell’anima altrettanto vivo e colorito che all’inizio. Bisogna eseguire questo esercizio ogni giorno, almeno per un mese. Si può ogni giorno scegliere un nuovo pensiero ma anche conservare lo stesso pensiero per diversi giorni. Alla fine di un esercizio di questo genere bisogna cercare di prendere pienamente coscienza del sentimento interiore di fermezza e sicurezza che la sottile attenzione portata alla nostra anima ci farà presto rilevare. Poi si terminal’esercizio immaginando la propria testa e la linea mediana della schiena, come se si volesse riversare questo sentimento in tali parti del corpo. SECONDO ESERCIZIO: CONTROLLO DEL VOLERE O GIUSTA AZIONE Dopo essersi esercitati così per un mese circa, ci si ponga un ulteriore proposito. Si tenti di immaginare una qualsiasi azione, che secondo il corso abituale delle proprie occupazioni non ci si sarebbe certamente mai proposti di compiere. Di questa azione si faccia di per sé un dovere quotidiano. Come azione da eseguire sarà bene scegliersi un’azione che possa essere compiuta ogni giorno per una durata più lunga possibile. Anche qui è meglio cominciare con un’azione insignificante, che occorre, per così dire, sforzarsi di compiere: per esempio, ci si può proporre di andare ad innaffiare in un preciso momento del giorno una pianta che si èacquistata. Dopo un certo periodo, a questa prima azione se ne deve aggiungere una seconda, poi una terza, eccetera, sempre che il compimento di tutti gli altri doveri ne offri la possibilità. Anche quest’esercizio deve essere eseguito per un mese. Durante questo secondo mese, tuttavia, bisogna il più possibile perseverare nell’esecuzione del primo esercizio, pur non facendone un dovere quasi esclusivo come nel primo mese. Non bisogna perderlo di vista: altrimenti ci si accorgerebbe ben presto che i frutti del primo mese si sono persi e che è ricominciato il solito vagare dei pensieri non controllati. Una volta acquisiti questi frutti, bisogna pertanto badare a non perderli. Dopo aver fatto esperienza di una tale azione scelta di propria iniziativa e compiuta come secondo esercizio, si prenda coscienza, attraverso un’attenzione sottile, del sentimento di impulso interiore verso l’agire, destatosi nell’anima e lo si riversi, per così dire, nel proprio corpo in modo da farlo discendere o fluire dalla testa al cuore. TERZO ESERCIZIO: CONTROLLO DEL SENTIRE, CHIAMATO ANCHE IMPERTURBABILITA’ O EQUANIMITA’ OVVERO GIUSTO SENTIMENTO Il nuovo esercizio che va posto al centro della vita durante il terzo mese è l’educazione a una certa equanimità di fronte alle oscillazioni tra piacere e dolore, gioia e sofferenza; la contrapposizione “esultanti di gioia e tristi fino alla morte” deve far posto, attraverso uno sforzo cosciente, a un’equanimità dell’anima. Si faccia attenzione al fatto che nessuna gioia cifaccia perdere la testa, che nessuna sofferenza ci schiacci, che nessuna esperienza vissuta ci trascini verso l’eccitazione o la collera smisurate, che nessuna attesa ci riempia di timore e di angoscia, che nessuna situazione ci faccia perdere il nostro equilibrio, eccetera. Non si tema, con questo esercizio, di far inaridire o impoverire l’anima; si noterà, al contrario, che grazie a questo esercizio, al posto di ciò che di solito si avverte sorgono qualità pure; soprattutto, attraverso un’attenzione sottile, si potrà scoprire in sé, nel proprio corpo, una condizione di calma interiore; si riversa questa calma nell’ organismo – come nei due casi precedenti – facendola irraggiare dal cuore verso le mani, i piedi e infine la testa. E’ evidente che, riguardo a quest’ultimo caso, non si può far ciò dopo ogni esercizio, perché non si tratta in fondo di un esercizio isolato, bensì di una attenzione costante diretta verso la vita interiore. Occorre però, almeno una volta al giorno, evocare dinanzi all’anima questa calma interiore ed esercitarsi a riversare, a far fluire questo sentimento dal cuore verso le mani, poi i piedi, infine la testa. Si continuerà a eseguire il primo e il secondo esercizio durante il terzo mese, come si è continuato il primo esercizio nel secondo mese. QUARTO ESERCIZIO: POSITIVITA’, CHIAMATA ANCHE TOLLERANZA O INDULGENZA OVVERO GIUSTO GIUDIZIO Nel quarto mese occorre seguire come nuovo esercizio quello chiamato “della positività”. Esso consiste nel ricercare costantemente in tutti gli esseri, in tutte le cose, in tutte le esperienze, ciò che di buono, di bello, di eccellente vi è contenuto. Ciò che meglio definisce questa qualità dell’anima è una leggenda persiana sul Cristo Gesù. Camminava lungo una via con i suoi discepoli, quando videro sul ciglio della strada, il cadavere di un cane in uno stato già avanzato di decomposizione. Di fronte a quel raccapricciante spettacolo i discepoli volsero lo sguardo dall’altra parte; solo il Cristo si fermò, guardò il cane con aria pensosa e disse: “Che bei denti aveva questo animale!”. Dove gli altri avevano visto soltanto una realtà ripugnante e sgradevole, egli vedeva il bello. Così il discepolo dell’esoterismo deve sforzarsi di cercare in ogni fenomeno e in ogni essere ciò che vi è di positivo. Noterà ben presto che sotto la coltre della ripugnanza si nasconde una certa bellezza; che sotto le sembianze di un criminale si nasconde qualcosa di buono; sotto le sembianze di un pazzo si cela in qualche modo un’anima divina. Questo esercizio si accostaa ciò che si chiama “astenersi dalla critica”. Non bisogna interpretare ciò come se si dovesse denominare nero il bianco e bianco il nero. Ma c’è una differenza tra un giudizio che nasce soltanto dalla reazione personale o dall’impressione personale di simpatia o antipatia e una tutt’altra attitudine secondo la quale ci si immerge con amore nel fenomeno o nell’essere che ci è dinanzi, chiedendosi ogni volta:”Com’è giunto a essere ciò che è, a fare quel che ha fatto?”. Questa attitudine spinge, del tutto spontaneamente, a sforzarsi di aiutare ciò che è imperfetto, piuttosto che biasimarlo o criticarlo soltanto. E’ priva di valore l’obiezione che, in moltecircostanze della vita umana, è necessario biasimare e giudicare, perché inogni caso queste condizioni di vita sono tali da impedire di seguire una vera disciplina occulta. Esistono, in effetti, numerose condizioni di vita che non consentono di seguire correttamente questa disciplina. In questo caso non bisogna voler conseguire con impazienza, nonostante tutto, queiprogressi che si possono realizzare soltanto in certe condizioni. Chiunqueabbia rivolto per un intero mese la sua attenzione al lato positivo di tuttociò che incontra noterà a poco a poco che nella sua interiorità affiora un sentimento che gli dà l’impressione che la sua pelle divenga permeabile in tutte le direzioni e che la sua anima si apra vastamente a tutti quei fatti segreti e sottili che gli si svolgono attorno e che prima fuggivano del tutto alla sua attenzione. Si tratta proprio di combattere contro la mancanza di attenzione che esiste in tutti di fronte a questi fatti sottili. Una volta osservato che questo sentimento si manifesta nell’anima sotto forma di felicità, si cerchi di dirigere questo sentimento, come fosse un pensiero, verso il cuore, di farlo fluire di là verso gli occhi e da questi ultimi verso l’esterno, nello spazio di fronte a sé e attorno a sé. Si noterà che si acquista così un’intima relazione con lo spazio. Si va oltre se stessi, ci si dilata, per così dire. Si impara a considerare una parte del proprio ambiente come qualcosa che fa anche parte di se stessi. Questo esercizio richiede una buona dose di concentrazione e soprattutto il riconoscimento di un fatto: ogni moto passionale dell’anima, ogni tempesta emotiva, distrugge da cima a fondo questa attitudine dell’anima. Si ripetano gli esercizi già praticati come si è indicato per i mesi precedenti. QUINTO ESERCIZIO: SPREGIUDICATEZZA, CHIAMATA ANCHE APERTURA MENTALE, OBIETTIVITA’ O FIDUCIAContinua…
-
Pensare troppo: la gestione del pensiero per le persone ad alto potenziale
È una ricerca continua, l’analisi di tutto, un gorgogliare di pensieri, una mente che lavora a 100 km/h, un cervello che gira senza sosta a tutta velocità. È sempre pensare, pensare costantemente, passare il tempo a sezionare e cercare costantemente una soluzione migliore. È anche sentirsi invasi dai pensieri. Perché mettiamo in discussione tutto tuttoContinua…
