
“In ogni amore, ci sono almeno due esseri, ciascuno dei quali è la grande incognita nelle equazioni dell’altro. È questo che fa percepire l’amore come un capriccio del destino: quello strano e misterioso futuro, impossibile da predire, prevenire o evitare, accelerare o arrestare. Amare significa offrirsi a quel destino, alla più sublime di tutte le condizioni umane, una condizione in cui paura e gioia si fondono in una miscela che non permette più ai suoi ingredienti di scindersi. E offrirsi a quel destino significa, in ultima analisi, l’accettazione della libertà nell’essere: quella libertà che è incarnata nell’Altro, il compagno in amore”.
Zygmunt Bauman, Amore Liquido
Il concetto di amore liquido è diventato estremamente centrale nell’ambito delle riflessioni che possiamo fare sulle relazioni amorose. Di taglio sicuramente sociologico, le considerazioni di Bauman hanno di fatto cambiato il paradigma dell’amore, portandoci a essere divisi tra le considerazioni su quello che la nuova società virtuale è capace di offrirci per permetterci di metterci e rimetterci in gioco costantemente e tra quello che è il ricorso all’immaginario di una relazione amorosa idealizzata e ormai decisamente non più attuale.
C’è sicuramente da tenere in considerazione il fatto che la società sia ancora culturalmente permeata da un amore romantico stereotipato, in cui le giovanissime generazioni in parte si riconoscono ancora, sebbene tante esperienze vicine e probabilmente anche dolorose di quelle che sono le figure di riferimento primario abbiano contribuito affinché la realtà percepita fosse diversa da quella che potremmo aver assorbito attraverso la letteratura, la filmografia, il contesto culturale in cui ci troviamo.
Mi sono chiesta spesso in che modo questo paradigma potesse essere messo in discussione e modificato e quando ho visto lo scorso anno “Storia di un matrimonio”, ovvero il bellissimo e dolorosissimo racconto di un divorzio opera di Noah Baumbach, mi è sembrato evidente che eravamo lontani dallo stereotipo di coppia a cui siamo stati abituati sin dalla nostra prima infanzia.
I cambiamenti generazionali sono evidenti, sebbene una cultura e una formazione che approfondisca gli aspetti emotivi, affettivi e sentimentali è quanto mai urgente. La caducità delle cose, l’estrema facilità con cui abbiamo la possibilità di cambiare partner, sin da giovanissimi, la facilità con la quale ci spingiamo a mercificare gli incontri, gli avvicinamenti, gli amori, mette in evidenza qualcosa però di estremamente importante: difficilmente noi siamo e ci sentiamo al centro di quello che sta avvenendo dentro e fuori di noi.
Arrivare alla centratura è forse l’aspirazione più importante per la vita di ciascuno. E’ il punto che ci permette di partire da noi e confrontarci con le istanze della vita, partendo profondamente dalla consapevolezza di noi stessi, dalla conoscenza dei nostri bisogni, dall’aspirazione verso la bellezza e la gioia, cammino verso la completezza, la speranza e la progettualità.
Nell’essere prima soli e poi con l’altro ci troviamo a confrontarci con le parti di noi che chiedono di essere viste, ascoltate e amate, che esigono di potersi esprimere e si accontentano a fatica di essere ignorate e tenute da parte. Questo ci insegna che forse il punto più complesso, anche da giovanissimi, è contattare la fiducia che qualcosa del genere possa avvenire e che possiamo mostrarci nella nostra profonda vulnerabilità, senza temere che questa possa essere esclusivamente il segno profondo della nostra fragilità, ma che invece possa rappresentare una porta verso quello che ci porta all’autenticità e alla congruenza e ci fa essere allineati con i più intimi desideri della nostra vita.
E ci porta a incontrare l’altro e potere, con consapevolezza e amore per sé, ad aprirci profondamente alla relazione amorosa.
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