La comprensione amorevole come strumento di guarigione interiore


Per comprendere quale sia il ruolo della comprensione amorevole nel processo della guarigione interiore, un buon punto di partenza credo senz’altro essere quello di chiedersi che cosa rappresenti in generale la malattia, e in particolare la malattia interiore, il disagio psicologico. E vedere da che cosa questi traggano origine.È ovvio che si tratta di un discorso molto ampio, che si potrebbe approcciare in molti modi diversi, ma limitandosi a quello più semplice si può dire che  poiché la psiche, come d’altronde il corpo, rappresenta nel suo insieme una struttura organica e globale, diciamo un tutt’uno  una prima e forse principale causa di malattia è plausibilmente dovuta all’instaurarsi di una situazione di squilibrio o disarmonia all’interno di questo organismo, vuoi all’interno dei suoi singoli organi, oppure fra i vari organi e l’organismo nel suo complesso. Uno squilibrio che all’inizio sarà essenzialmente di ordine energetico, ma che in seguito può manifestarsi anche a livello somatico.
In quest’ottica, la malattia appare quindi essenzialmente come una mancanza di scorrevolezza delle energie all’interno dell’uomo, dovuta alla presenza nella sua psiche di blocchi, cicatrici, complessi, rimozioni, frustrazioni ecc. Sono tutti nodi da sciogliere, sono engrammi e condizionamenti negativi: alcuni ereditari, altri ambientali, altri derivati da incidenti o difficoltà incontrate nell’età evolutiva.Se si paragonasse l’individuo a una pianta in crescita, si potrebbero raffigurare queste difficoltà come noduli che rimangono all’interno del tronco, che crescendo li ingloba ma anche li blocca, li incista. Questi blocchi danno sofferenza, disagio, e soprattutto paura. Non a caso vengono anche definiti come “meccanismi di difesa”, meccanismi cioè che la psiche mette istintivamente in atto per difendersi, ma che poi spesso si rivelano peggiori del danno.
Se si considera infatti in che modo operano tali meccanismi, che vengono definiti anche come meccanismi nevrotici, si vede che essi sono come circuiti paralleli che isolano la parte dolente della psiche, creando però spesso molti più problemi di quanti non ne risolvano, in quanto ingorgano a loro volta lo spazio psichico, creando tensioni, ristagno e circoli viziosi, che si aggiungono e si sovrappongono a quelli originari. L’originale contrazione psichica legata a un disagio o a una sofferenza viene così “congelata” e bloccata da una sovrastruttura rigida che la tutela ma nello stesso tempo la conserva. Il tutto con un grande dispendio di energia psichica.

Illustrazione di Valentina Merzi


I meccanismi di difesa possono però essere visti anche in un’altra prospettiva, complementare alla prima, e cioè come un supporto al proprio orgoglio, una difesa della propria autoimmagine. Un voler negare una propria difettualità, o un proprio limite.Essi rappresentano la risposta ai modelli morali di comportamento che si sono introiettati fin dall’infanzia, ai codici comportamentali della cultura corrente. Ciò che al proprio interno non è consono a questi modelli, viene come “disconosciuto” e rimosso nell’inconscio. Siccome non si sa trasformarlo (nessuno ha d’altronde mai insegnato a farlo) e non lo si può distruggere, allora lo si nasconde. È lo stesso meccanismo con cui – per non raccoglierla – si butta la polvere sotto il tappeto, o per cui si dice che lo struzzo nasconda la testa nella sabbia nell’illusione di non essere visto. È il grande meccanismo della rimozione, per cui tutto ciò che non piace viene magicamente e infantilmente… annullato, fatto sparire. È un far finta di niente, sperando che il problema si risolva da solo…, un po’ come avviene appunto nelle fiabe.
Non è affatto facile, né spontaneo, accettare di diventare guaritori di se stessi: richiede quella serenità, quel distacco, quella generosità, quell’oblio di sé, quella capacità di perdonare, quell’umiltà e quella saggezza che le mamme – o almeno alcune mamme! – hanno in dono, e che i saggi hanno per faticosa conquista.
Curare significa dare all’altro ciò di cui egli ha bisogno, senza alcun ritorno personale per se stessi, in uno spirito di totale gratuità; senza manipolazioni e senza aspettative. Curarsi significa quindi sottrarsi all’ottica del confronto, e riuscire a vedere il proprio disagio non più come un ostacolo al proprio piacere, o al proprio inerte benessere, ma come appunto un figlio, una parte di sé che chiede di essere aiutata a crescere.

Illustrazione di Piotr Jabłoński


Essere guaritori di se stessi non è facile, perché le qualità che richiede – e che si sono appena viste – sono di fatto qualità eroiche: eroico è il coraggio di Ercole che scende negli inferni per liberare Teseo dalle sue catene, eroica è la grandezza del Padre che accoglie con gioia il ritorno del Figliol Prodigo.Eroica, perché non spontanea, è la capacità di elevarsi a genitori di se stessi, come raccomanda Assagioli,  e cioè di generare quel distacco interno dalle proprie parti e contenuti psichici che consente di farsene carico, di prenderli in cura. Nella coscienza del genitore (che in termini psicosintetici equivale alla coscienza dell’Io) il rancore si tramuta in perdono, la contrapposizione in resa, il rifiuto in apertura e la paura in generosità.Alla luce di questo amore interno, di questa benevolenza incondizionata che pervade ogni parte di sé, l’ombra perde di consistenza, svanisce, e il senso di esclusione si tramuta magicamente in senso di appartenenza.È l’amore incondizionato del guaritore, ovvero dell’Io, che fa ritrovare alla parte separata l’umiltà perduta, è questo amore che le permette di deporre la corazza dell’orgoglio e di accettarsi per quello che è, con le difettualità che prima negava; e che infine le apre la strada di un metaforico ritorno alla Casa del Padre. Questo flusso di amore incondizionato, che come un’irradiazione del cuore pervade il mondo psichico del guaritore, sia interno che esterno, in Psicosintesi viene definito come “comprensione amorevole”.

Illustrazione di Elisa Seitzinger


Inevitabilmente viene a questo punto da chiedersi: perché proprio “comprensione amorevole”? Perché Assagioli ha scelto proprio questo termine, questa espressione, fra i tanti altri che avrebbe potuto usare, come benevolenza, empatia, amore, compassione, ecc.?A ben vedere, il primo termine di questa espressione, la parola “comprensione”, è particolarmente profondo e prezioso, perché riesce a coniugare in sé due significati in apparenza opposti: il primo che rimanda alla comprensione mentale, al discernimento, e che implica di per sé un prendere le distanze dall’oggetto della conoscenza, e quindi comporta un’esperienza di separazione. E un secondo significato che viceversa vede nella comprensione la capacità di “prendere con sé”, cioè di includere, di accogliere, di abbracciare, di ricostituire un’esperienza di unità.
Da: Archivio Assagioli


Una delle funzioni e delle proprietà dell’umorismo è quella di stabilire il senso delle proporzioni spirituali perdute con l’ingrandimento del nostro piccolo Sé e delle sue attitudini egocentriche. 
Roberto Assagioli

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