In questi anni di studio e di pratica nell’ambito del counseling e del coaching ho visto una importante trasformazione dentro di me. L’elemento su cui ho più lavorato per poter praticare la professione è il giudizio, o meglio, il non giudizio.
Ho osservato, cominciando a familiarizzare con questo concetto, che avevo avuto da sempre una propensione a non giudicare gli altri per le loro scelte di vita, ma che, quando la cosa mi riguardava o mi toccava, la mia reazione non era particolarmente serena. Tendevo a sentire che qualcosa mi feriva, mi colpiva, mi veniva tolto. Principalmente, non mi sentivo compresa e questo mi faceva allontanare molto dalla persona che agiva in questo modo. Allora era una modalità poco cosciente: mi allontanavo in modo quasi automatico, perché la mia ferita diventava la mia protezione.
Negli anni ho imparato in modo più sottile ad avere rispetto per le posizioni altrui e però, altrettanto, ho sentito come doveroso da parte di chi mi è vicino che facesse lo stesso nei miei confronti. Quando questo non accade, e chiaramente può capitare, io ho di fronte una scelta, che per me e le mie possibilità attuali è in due sole direzioni: continuare ad avere fiducia dell’altro, pensando che ha dei limiti contro i quali non ha strumenti per migliorarsi, o lasciar perdere, più che difendendomi, allontanandomi del tutto, dal punto di vista dell’aspetto intimo di me che condividevo prima con molta naturalezza con quella persona. Questo mi permette di rimanere accanto a quella persona, ma non pensare che sia sempre possibile trovare approvazione da parte sua, che deriverebbe anche dal solo stare in ascolto di quelle che sono le mie istanze, senza sentire costantemente di volerle contrastare, pur di esprimere la propria posizione.
Ho imparato a usare la comunicazione non violenta (CNV) di Marshall Rosenberg attraverso un libro che mi ha profondamente cambiata, a cui poi sono seguiti diverse altre letture e corsi.
Parto da me e dalla coscienza che ho di stare a contatto con le mie emozioni, i miei sentimenti, i miei bisogni e poi formulo una richiesta.
Naturalmente, non è pensabile che possa essere sempre efficace, ma porta dei frutti anche inaspettati. Quello che ne deriva, però, è che si diventa coscienti maggiormente di cosa per noi è tossico e non è neanche utile alla nostra crescita. Si impara a guardarsi dentro e a chiedersi cosa per noi è giusto, ha senso, ci mette alla prova, ci fa migliorare, ci addolora, cosa non è ancora alla nostra portata, cosa non possiamo gestire e controllare. Si impara a guardare se stessi e solo se stessi come ciò da cui partire e che è realmente possibile cambiare. Ma si impara anche a guardare gli altri con i loro limiti e a scegliere se sentiamo ancora dell’affetto sincero nei loro confronti e vogliamo che comunque rimangano nella nostra vita, nonostante non riescano a fare un salto di qualità che a noi sarebbe sembrato scontato.
Perché, forse, non c’è mai veramente nulla di scontato.